lunedì 22 marzo 2010

Rischi coltivazione e consumo OGM

Eventuali rischi legati alla coltivazione di piante transgeniche

Il flusso genico (gene flow) nell’ambiente avviene per tutte le piante, transgeniche e non, mediante la dispersione del polline (o dei semi) e rappresenta un’importante fonte di variabilità genetica su cui si è basata l’evoluzione. Vale la pena rilevare che questo è un evento frequente: molte piante coltivate hanno un sistema di impollinazione che consente, se non addirittura obbliga, l’incrocio (come il mais, molti fruttiferi, etc.). In altri termini, è una norma e non l’eccezione che polline di varietà differenti coltivate su campi confinanti scambino i geni delle rispettive varietà, senza che ciò costituisca un rischio nè per il consumatore nè per l’allevatore.Per quanto riguarda il rilascio nell'ambiente di piante geneticamente modificate tramite ingegneria genetica (PGM), il livello di imprevedibilità che lo caratterizza varia da specie a specie, dai geni inseriti e dalle caratteristiche del territorio.
Nel caso di PGM in cui il gene inserito proviene da specie interfeconde o affini, il livello di imprevedibilità non è diverso da quello atteso nel caso in cui il trasferimento genico avvenga per incrocio genetico classico. In caso di inserimento di geni provenienti da organismi tassonomicamente non vicini, invece, il livello di imprevedibilità potrebbe essere maggiore.Ci si deve quindi chiedere, caso per caso, quanto è probabile che un transgene passi stabilmente a una popolazione naturale e, in tal caso, quando la cosa è preoccupante?
A titolo esemplificativo si possono ipotizzare diversi livelli di rischio;

-rischio nullo: PGM il cui polline non è in grado di trasferire il gene esogeno introdotto (es. piante maschio-sterili o non recanti transgeni nel genoma del polline);
-rischio basso: PGM in cui è stato inserito un gene proveniente da varietà della stessa specie, (es. pomodoro PGM arricchito in licopene, sostanza già prodotta in pomodoro dai geni già presenti in questa specie) oppure PGM in cui è stato inserito un gene proveniente da specie diverse ma coltivato in zone dove non esistono specie selvatiche interfeconde (es. mais per la resistenza ad erbicidi coltivato in Europa dove non esistono specie selvatiche interfeconde);

-rischio medio: PGM in cui è stato inserito un gene proveniente da specie diverse, che non dia un vantaggio selettivo, rilasciate in ambienti dove esistono specie selvatiche interfeconde (es. colza per la sovrapproduzione di olio coltivata in Europa);

-rischio alto: PGM in cui è stato inserito un gene proveniente da specie diverse, che dia un vantaggio selettivo, rilasciate in ambienti dove esistono specie selvatiche interfeconde (es. colza resistente agli erbicidi coltivata in Europa).

E’ da notare che i rischi legati al flusso genico non sono limitati alle PGM. Infatti il trasferimento, non voluto, di resistenza ad erbicidi da una pianta coltivata ad un’infestante è un evento dannoso, sia se quest’ultima è stata prodotta per incrocio, sia se essa deriva da un trasferimento diretto; in proposito è importante ricordare che negli anni ’80 la resistenza all’atrazina si è diffusa in varie specie di infestanti attraverso il passaggio ad esse di un gene di resistenza inserito nelle piante coltivate mediante miglioramento genetico tradizionale.Oggi è disponibile una notevole quantità di dati relativi ai possibili effetti del gene flow. Un recente rapporto della Comunità Europea, riassumendo i risultati di una ricerca sulla biosicurezza delle piante transgeniche durata 15 anni (70 milioni di euro, 400 gruppi di ricerca), conclude (per accuratezza dell’informazione il testo è riportato nella lingua in cui è stato compilato): “Research on the GM plants and derived products so far developed and marketed, following usual risk assessment procedures, has not shown any new risk to human health or the environment, beyond the usual uncertainties of conventional plant breeding. Indeed, the use of more precise technology and the greater regulatory scrutiny probably make them even safer than conventional plants and foods; and if there are unforeseen environmental effects – none have appeared as yet – these should be rapidly detected by our monitoring requirements. On the other hand, the benefits of these plants and products for human health and the environment become increasingly clear” (http://biosociety.dms.it/Home_News.shtm).Sempre a proposito di impatto ambientale, il timore che le PGM possano prendere il sopravvento sulle piante “normali”, colonizzandone gli habitat naturali, è stato ridimensionato da uno studio condotto su quattro specie (colza, patata, mais e barbabietola da zucchero) fatte crescere in 12 differenti località per 10 anni. Questo studio ha dimostrato che in nessun caso le piante GM sono risultate più invasive o più persistenti delle loro controparti convenzionali (Crowley et al, Nature 409: 682-683, 2001).

Eventuali rischi legati al consumo di prodotti transgenici

I possibili rischi, legati al consumo di alimenti contenenti ingredienti derivati da piante transgeniche, sono riconducibili alla possibilità di trasferimento del transgene alla flora batterica intestinale, ed alla eventuale presenza di una proteina ricombinante allergenica.
Tutte le piante transgeniche attualmente coltivate e commercializzate contengono, oltre ad un gene esogeno, che conferisce loro particolari caratteristiche (ad esempio la tolleranza ad insetti o erbicidi), anche un “gene marcatore” che conferisce loro la resistenza ad un antibiotico. L’utilizzo di tale “marcatore” si rende necessario durante il processo di trasformazione, per distinguere le cellule vegetali trasformate (contenenti il transgene), da quelle non trasformate (prive del transgene). E’ stato ipotizzato che il consumo di alimenti di origine transgenica, potrebbe determinare il trasferimento del gene marcatore ai batteri presenti nell’intestino, che, di conseguenza, potrebbero sviluppare una tolleranza ad antibiotico. Di recente, tale possibilità è stata valutata direttamente nell’uomo (Netherwood et al., Nature Biotech., 2004, 22:204-209). I dati ottenuti, hanno evidenziato che la probabilità di sviluppare una flora batterica patogena resitente ad un antibiotico, in seguito al consumo di alimenti derivati da piante transgeniche è estremamente bassa. Questo è essenzialmente dovuto al fatto che il gene marcatore viene completamente degradato nell’apparato digerente.

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