lunedì 29 marzo 2010

Sindrome di Turner

La Sindrome di Turner, nota anche come Disgenesia gonadica, è una patologia che interessa solo il sesso femminile, è dovuta a un’anomalia del cromosoma sessuale X. Colpisce 1 femmina su 2500 nate. Nella gran parte dei casi è causata dall’assenza di un intero cromosoma X in ciascuna cellula dell’organismo che normalmente, nei soggetti di sesso femminile, ne possiede due, più raramente sono riscontrabili forme a mosaico (il cromosoma è assente solo in alcune cellule mentre in altre è presente in duplice copia) e forme causate da anomalie cromosomiche strutturali nelle quali uno dei due cromosomi X risulta in qualche modo danneggiato. La Sindrome si manifesta in modo più sfumato in quei soggetti che presentano forme a mosaico o causate da alterazioni strutturali, mentre è più evidente nelle forme dovute a monosomia completa del cromosoma X.
I sintomi sono:
bassa statura,1,45 m in media, torace a scudo (gabbia toracica ampia e piatta), collo corto, gonfiore di piedi e mani, caratteri sessuali secondari poco sviluppati a causa di anomalie ovariche che comportano una carente produzione di estrogeni. Le donne affette da Sindrome di Turner presentano inoltre assenza del ciclo mestruale o menopausa precoce. Possono aggiungersi complicazioni cardiache, anomalie renali, ipertensione, miopia e strabismo. La sindrome non comporta ritardo mentale anche se possono avere difficoltà scolastiche. L’aspettativa di vita della donna con Sindrome di Turner non è diversa da quella del resto della popolazione. Per migliorare in altezza a questi soggetti all'età di 12 anni potrebbero somministrare somatotropina (ormone della crescita); invece per favorire lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari femminili bisognerebbe ricorrere a una terapia ormonale. Il 99% delle donne affette da questa malattia non è fertile, ma attualmente questo problema può essere superato grazie alle tecniche di fecondazione assistita. La neonata con Sindrome di Turner si presenta alla nascita di peso e lunghezza inferiori alla media, gonfiore di mani e piedi, pliche sulla cute della nuca.Talvolta, quando le manifestazioni sono lievi, si perviene alla diagnosi solo una volta giunta la pubertà quando viene rilevata amenorrea primaria e statura bassa.

Il tumore al seno

Il seno è costituito da un insieme di ghiandole e tessuto adiposo ed è posto tra la pelle e la parete del torace. In realtà non è una ghiandola sola, ma un insieme di strutture ghiandolari, chiamate lobuli, unite tra loro a formare un lobo. In un seno vi sono da 15 a 20 lobi. Il latte giunge al capezzolo dai lobuli attraverso piccoli tubi chiamati dotti galattofori. Il tumore del seno è una malattia potenzialmente grave se non è individuata e curata per tempo. È dovuto alla moltiplicazione incontrollata di alcune cellule della ghiandola mammaria che si trasformano in cellule maligne. Ciò significa che hanno la capacità di staccarsi dal tessuto che le ha generate per invadere i tessuti circostanti e, col tempo, anche gli altri organi del corpo. In teoria si possono formare tumori da tutti i tipi di tessuti del seno, ma i più frequenti nascono dalle cellule ghiandolari o da quelle che formano la parete dei dotti. Il tumore del seno colpisce 1 donna su 10. È il tumore più frequente nel sesso femminile e rappresenta il 25% di tutti i tumori che colpiscono le donne. Ci sono diverse tipologie di Cancro al seno fra le quali: il carcinoma duttale in situ, il carcinoma lobulare in situ, il carcinoma duttale infiltrante, il carcinoma lobulare infiltrante. Nonostante nella maggior parte dei casi il Cancro ha fine con la morte, esso si può prevenire con delle nuove tecnologie o semplici ma utile consigli medici come allattare i figli, frequenti visite mediche come la mammografia e l'ecografia ed anche l'autopalpazione che è molto efficace perchè si possono individuare i noduli con essa(alcune prevenzioni sono spiegate molto bene su href="http://www.senosalvo.com/prevenzione/prevenzione.htm">http://www.senosalvo.com/prevenzione/prevenzione.htm). Il Cancro al seno si divide in 4 stadi e se il tumore viene identificato allo stadio 0, la sopravvivenza a cinque anni nelle donne trattate è del 98 per cento.

Mononucleosi

La mononucleosi, che ha come sintomi prevalenti stanchezza e aumento dei globuli bianchi, è una malattia infettiva non sempre facile da diagnosticare. Si trasmette soprattutto fra i giovani, abitualmente attraverso la saliva; per questo motivo è conosciuta anche come kissing desease o "malattia del bacio".
La mononucleosi è causata da un virus chiamato EBV (Epstein-Barr Virus), appartenente alla famiglia degli herpes virus, la stessa di varicella e fuoco di Sant'Antonio.

Sintomi
I sintomi principali della mononucleosi sono simili a quelli di un comune malanno invernale e comprendono febbre, debolezza, senso di malessere generale ed ingrossamento dei linfonodi. Il periodo di incubazione è piuttosto lungo e variabile dai 30 ai 50 giorni. Generalmente è inferiore nei bambini.
Se il virus prende il sopravvento sul sistema immunitario, la mononucleosi vera e propria esordisce con una fenomenologia più specifica, i cui elementi principali sono rappresentati da febbre, faringite. Dopo alcuni giorni si assiste alla comparsa di un rilevante numero di cellule linfocitarie atipiche nel sangue. La debolezza è un altro sintomo spesso rilevante, che in alcuni casi perdura per svariate settimane.
Altri sintomi della mononucleosi comprendono: l'ingrossamento della milza ed orticaria.
Possibile anche il coinvolgimento di cuore e polmoni.
In alcuni casi la malattia si manifesta in maniera subdola, con poca febbre ed un senso generale di malessere e stanchezza, che può perdurare anche per diversi mesi. Dopo l'iniziale contagio, il virus rimane infatti silente, in attesa che le difese immunitarie si abbassino. La sua successiva riattivazione è implicata nella sindrome da stanchezza cronica.
Se il contagio avviene durante l'infanzia, la momonucleosi è solitamente caratterizzata da sintomi lievi, non specifici o da nessun sintomo.

Contagiosità
La mononucleosi è una malattia a contagiosità modesta, che colpisce preferenzialmente soggetti di età compresa fra i 15 ed i 25 anni. Il contagio può essere diretto ed avvenire tramite saliva (via oro-faringea), rapporto sessuale o trasfusioni di sangue ed emoderivati, oppure indiretto, per esempio tramite l'utilizzo comune di oggetti contaminati quali posate, bicchieri, piatti e giocattoli.
La contagiosità può permanere per molto tempo, poiché l'eliminazione faringea del virus persiste fino ad un anno dopo l'infezione. Bisogna inoltre considerare che, durante i periodi di riattivazione del virus, gli stessi portatori sani possono diventare fonte di contagio. In ogni caso se si è già stati infettati una volta, ogni successivo contatto con una persona affetta da mononucleosi sarà privo di conseguenze.

Cura e terapie
Nella maggior parte dei casi la mononucleosi si risolve positivamente entro due o tre settimane. Raramente si hanno ricadute croniche negli anni a venire, anche se alcuni pazienti tendono comunque ad accusare stanchezza e difficoltà di concentrazione per diversi mesi. Per prevenire il riattivarsi del virus è importante mantenere l'efficienza del sistema immunitario con uno stile di vita attivo, privo di eccessivi stress e basato su una sana alimentazione.
Il paziente colpito da mononucleosi dovrebbe riposare a letto ed evitare sforzi fisici per almeno un mese. La rottura della milza per traumi addominali è infatti una complicanza rara ma temibilissima. Le categorie a maggior rischio sono i bambini e gli sportivi, che dovrebbero astenersi dagli sforzi anche per qualche settimana dopo la remissione clinica. La terapia farmacologica della mononucleosi si basa sulla somministrazione di analgesici ed antipiretici.

L'epilessia


L'epilessia è una sindrome neurologica con crisi improvvise.

Generalmente l'epilessia è caratterizzata da convulsioni e perdita di coscienza. Le crisi epilettiche sono provocate da un'iperattività delle cellule nervose cerebrali (i neuroni), evidenziabile con l'elettroencefalogramma, seguita da un periodo di completa inattività. Paradossalmente si verifica infatti un'eccessiva attività funzionale del sistema nervoso per cui, alcuni o tutti i neuroni della corteccia cerebrale, incominciano ad attivarsi ad un ritmo molto superiore al normale, producendo una scarica.

L'epilessia può manifestarsi ad ogni età ed in forme assai diverse; data la sua varietà, si parla genericamente di epilessie ed è quindi importante, nel classificarle, tenere conto della loro causa e distinguere quelle sintomatiche, che si manifestano cioè nel corso di altri stati morbosi, dall'epilessia idiopatica, di cui non si conosce l'origine. In un buon numero di casi non si riesce a trovare la causa dell'epilessia che viene pertanto definita criptogenica.

Le epilessie si classificano in :
- Crisi a inizio focale
- Crisi generalizzate fin dall'inizio

Le crisi a inizio focale possono avere origine dalla corteccia sensoriale, come l'epilessia psicomotoria provocata da lesioni del lobo temporale. Essa è generalmente preceduta da una specie di premonizione dell'attacco imminente, la cosiddetta "aura" epilettica, che provoca sensazioni peculiari quali una pressione allo stomaco che sale verso la gola, lampi di luce, rumori, formicolii ad una parte del corpo, gusti e/o odori strani, improvvisi stati d'animo di angoscia o euforia, l'impressione di vivere in un sogno con fenomeni di "Déjà vu", lasciando al paziente una coscienza che gli permette di compiere attività anche complesse, sebbene automatiche , come masticare, inghiottire, parlare, toccare e spostare oggetti.

Altre forme focali, cioè localizzate in un punto preciso, hanno invece origine dalla corteccia motoria e danno luogo a convulsioni localizzate, che possono rimanere tali anche per parecchio tempo, addirittura settimane e mesi (epilepsia partialis continua), oppure possono generalizzarsi a tutto il corpo, accompagnandosi allora a perdite di coscienza di breve durata ( convulsione generalizzata a inizio focale).
Tra le forme focali si può avere anche una crisi epilettica parziale, senza perdita di coscienza.


Nella forma caratterizzata da sintomatologia motoria si hanno contrazioni che iniziano in un'area qualsiasi del corpo e si estendono progressivamente ai muscoli vicini seguendo la distribuzione caratteristica dell'area motoria inducendo la cosiddetta "marcia jacksoniana" in cui si hanno contrazioni di tipo mioclonico che, partendo dalla spalla, si estendono al braccio, poi all'avambraccio ed infine alla mano, interessando quindi tutta la metà del corpo, ma non generalizzandosi. Se invece la sintomatologia è somato-sensoriale, si manifestano parestesie nell'emicorpo controlaterale alla scarica che, originate in un punto del corpo, tendono poi a diffondersi.

Non ha inizio focale il grande male, caratterizzato da convulsioni generalizzate immediatamente precedute da un grido ed accompagnate da improvvisa perdita di coscienza, che provoca la caduta a terra del paziente. Alla convulsione segue il coma detto "postcritico", che dura da parecchi minuti fino anche alla mezz'ora ed è seguito da confusione, sopore e cefalea.

Le crisi generalizzate fin dall'inizio non presentano invece convulsioni, ma solo perdita di coscienza che dura pochi secondi. Viene definita, per distinguerla dalla precedente, piccolo male o assenza ed è maggiormente frequente tra i quattro anni e l'adolescenza. Non ha segni premonitori e spesso non viene avvertita né dal paziente né da chi gli è vicino.

Proteine di membrana

A seconda del tipo cellulare una membrana può contenere centinaia di proteine differenti. Nella membrana in genere il rapporto (proteina–lipide) è di 1:1 perché anche se indubbiamente le proteine sono come numero molto inferiori ai lipidi, i quali sono più piccoli di molto dalle proteine. A seconda del tipo cellulare ci sono più o meno proteine. Le proprietà che sono rivolte al versante esterno delle cellule sono ben diverse da quelle rivolte nel versante del citoplasma; svolgono, infatti, funzioni differenti. In base ai rapporti e alle posizioni delle proteine nella membrana possiamo suddividere le proteine in:
- proteine integrali: probabilmente proteine transmembrane cioè che attraversano completamente il doppio strato lipidico;
- proteine periferiche: situata all’estremità esterna della membrana o superficie extracellulare, o su quella citoplasmatica e si lega alle superfici delle membrane tramite legami non covalenti;
- proteine ancorate ai lipidi: sono situate all’esterno della membrana, ma sono legate tramite un legame covalente ad una molecola di un lipide situato nel doppio strato.

Proteine integrali di membrana
Le porzioni di una proteina integrale di membrana che risiedono all’interno del doppio strato lipidico, hanno carattere idrofobico; formando interazioni idrofobiche con le catene d’acidi grassi dello strato lipidico ancorando la proteina, mostrando l’impermeabilità della membrana. Le porzioni di proteina che invece si proiettano nello spazio fuori lo strato sono simili alle proteine globulari e hanno superfici idrofobiche.

Proteine periferiche di membrana
Le proteine periferiche sono associate alle membrane mediante legami elettrostatici deboli con le teste idrofiliche dei fosfolipidi oppure con le porzioni idrofobiche delle proteine integrali che sporgono dal doppio strato lipidico. Possono di solito essere solubilizzate estraendoli con soluzioni saline. Le proteine periferiche svolgono importanti ruoli, quelle situate sulla faccia interna alla membrana, formano una rete di fibrille che agiscono come uno scheletro di membrana formando un supporto meccanico alla membrana e un ancoraggio per le proteine integrali. Altre fungono da enzimi, rivestimenti specializzati o come fattori che trasmettono segnali.

Proteine di membrana ancorate ai lipidi
Se ne distinguono di due tipi: quelle che si affacciano sul versante esterno e si legano alla membrana mediante un breve oligosaccaride legato ad una molecola di glicofosfatidilinositolo (GPI); quelle sul versante interno si legano mediante lunghe catene idrocarburiche.

Intolleranza al lattosio


Si definisce "intolleranza al lattosio" l' insieme di sintomi che possono presentarsi per l' incapacità di digerire il lattosio, il principale zucchero contenuto nel latte. L'intolleranza al lattosio negli adulti è molto comune: negli Stati Uniti, fino al 22% degli adulti è affetto da carenza di lattasi mentre i Nord-Europei hanno la prevalenza più bassa (circa il 5%). Nell'Europa centrale la prevalenza è circa il 30% e nell' Europa del sud sfiora il 70%, come negli Ispanici e negli Ebrei.
Non ci sono differenze significative d' incidenza fra i due sessi. I sintomi d' intolleranza al lattosio raramente si verificano prima dei 6 anni e i più comuni sono gastrointestinali: dolore addominale, crampi addominali, gonfiore e tensione intestinale, meteorismo, flatuenza e diarrea.
Il cardine della terapia è la dieta a ridotto contenuto di lattosio; è opportuno eliminare gradualmente gli alimenti ad alto contenuto di lattosio come yogurt, latte e formaggi freschi.
Tali alimenti possono essere sostituiti con altri alimenti che si trovano in commercio (come per esempio il latte Zymil). Dove non è possibile l' eliminazione di lattosio in alcuni alimenti, è disponibile una lattasi in compresse, che ingerita insieme al cibo, aiuta nella digestione del lattosio.

Dipendenze da videogioco e da internet

E’ stata aperta in Valle d’Aosta la prima clinica che guarirà la dipendenza da videogioco. Più precisamente la struttura si occuperà in generale, di dipendenze da internet e sarà diretta da Vittorino Andreoli, famoso psichiatra italiano.Verranno curati tutti i disturbi correlati alla dipendenza da internet tra i quali, quelli post acuti da stress ed ansia, disturbi di personalità ed alimentari, comportamenti ossessivi, compulsivi e pulsioni suicide. Nella clinica riabilitativa, nata dalla collaborazione tra la regione Valle d’Aosta, il comune di Brusson e l’imprenditore Giovanni Caprara, verranno ospitati 79 pazienti, che verranno smistati, in base al loro tipo di problematica ed al grado di severità, in diverse piccole comunità.
Non riuscire a fare a meno del computer è un problema sempre più diffuso ed in crescita, soprattutto tra i giovani, in un’intervista a "Focus.it" del 2008 lo stesso Vittorino Andreoli affermava sulle tecnodipendenze, che la fruizione eccessiva di internet “è contraria alla socialità intesa come relazione” e conduce “a una forma di ‘autismo digitale’ dove alle persone si sostituisce la loro immagine virtuale”.La dipendenza da internet e videogiochi può in età adolescenziale, sfociare in problemi psichiatrici, per questo la struttura è pensata soprattutto per i giovani, che risultano essere i più esposti.Il centro offrirà aiuto e sostegno psicologico sia ai ragazzi che alle loro famiglie, ed accoglierà anche i dipendenti da alcol e gioco d’azzardo di età adulta.La ristrutturazione dell’ex colonia costata circa 5 milioni di euro, manterrà lo stile esterno in legno e pietra che ben si armonizza con i cinque ettari di parco valdostano che la circondano.

Una terapia per fermare le convulsioni epilettiche

Circa il 30% dei pazienti affetti da epilessia resiste ai farmaci antiepilettici usati per controllare le crisi. Sono quindi necessarie nuove terapie poichè altrimenti l'unica speranza è la rimozione chirurgica della zona epilettogena.
Vi è, infatti, una stategia alternativa, in studio presso l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, chiamata terapia genica: consiste nell’individuare l'area del cervello da cui hanno origine le crisi epilettiche, utilizzando spesso tecniche di imaging e di elettroencefalografia. Si introduce poi uno specifico gene terapeutico che sintetizza una sostanza con proprietà anticonvulsivanti (il neuropeptide Y).
Questo tipo di terapia è stata sviluppata in uno studio sperimentale condotto da Francesco Noè nel laboratorio di Annamaria Vezzani, in collaborazione con altri gruppi internazionali di ricerca.
Il gene che codifica il neuropeptide Y è stato introdotto nel cervello di modelli sperimentali di epilessia utilizzando un vettore di trasporto nelle cellule chiamato vettore virale adeno-associato, derivato da un virus non patogeno; è stato così possibile ridurre la frequenza delle crisi negli animali epilettici.
I risultati dello studio hanno mostrato che l’introduzione di un gene con un effetto terapeutico nel cervello del roditore, determina la produzione del peptide per almeno 1 anno e diminuisce le crisi epilettiche provocate sperimentalmente.