lunedì 15 febbraio 2010

Drosophila melanogaster


Il genere Drosophila fu classificato all’inizio del XIX secolo; la specie più nota, Drosophila melanogaster, venne descritta verso la metà del secolo ed è probabilmente originaria delle regioni tropicali. Quasi sicuramente giunse in Europa e negli Stati Uniti in seguito all’importazione delle banane. Il piccolo insetto comparve fra il 1900 ed il 1901 presso l’Università di Hardward, dove C.W.Woodworth vi si dedicò e suggerì a W. Castle che si trattava di un organismo particolarmente adatto per studi in campo genetico.
L’utilizzo in laboratorio di questo insetto, ben presto si rivelò effettivamente adatto alle ricerche di genetica, in quanto l’allevamento risultava molto economico, richiedeva poco spazio (in un primo tempo i moscerini vennero addirittura allevati nelle bottiglie vuote del latte) e soprattutto era possibile ottenere numerosi incroci in breve tempo (da 2 a 3 settimane).
Intorno al 1908, anche Morgan cominciò a lavorare su Drosophila; infatti, in un primo tempo, aveva condotto le sue ricerche sui ratti, ma ben presto li abbandonò a causa dell’elevato costo, dei cicli riproduttivi troppo lunghi e della facilità con cui venivano colpiti da infezioni.
Per condurre questo tipo di ricerca, i moscerini venivano sottoposti ad agenti mutageni (raggi X, sali, onde radio), ma in un primo tempo i risultati non furono quelli sperati.
Nel 1910, tuttavia, comparve un unico individuo maschio con gli occhi bianchi in una popolazione interamente costituita da moscerini con gli occhi rossi.Morgan decise di studiare questa variante e fece accoppiare il maschio "occhi bianchi" con le femmine "occhi rossi".Nella prima generazione filiale (F1) tutti i moscerini avevano gli occhi rossi, ma nella seconda (F2), comparve il classico rapporto mendeliano 3 rossi:1 bianco. Questo indicava chiaramente che il carattere "occhi bianchi" doveva essere un carattere mendeliano recessivo, ma c’era un aspetto particolare: tutti gli individui della F2 che avevano gli occhi bianchi erano maschi. Realizzando poi l’incrocio fra un maschio con gli occhi bianchi ed una femmina della F1, si otteneva di nuovo il rapporto previsto da Mendel, cioè 1 bianco: 1 rosso, ma questa volta con la stessa distribuzione nei due sessi. Per spiegare questi risultati, Morgan ipotizzò l’esistenza di un fattore, portatore del colore bianco degli occhi, che doveva trovarsi negli spermatozoi e lo indicò come W; inoltre, metà dei gameti maschili doveva portare un fattore X per il sesso e l’altra metà no. Il maschio con gli occhi bianchi doveva pertanto essere omozigote per W ed eterozigote per X, cioè WWX, producendo quindi due tipi di gameti: WX e X. La femmina invece doveva essere portatrice per il fattore rosso R, omozigote per X e, quindi, avere genotipo RRXX, con conseguente produzione di gameti tutti uguali, del tipo RX. Dal momento che "occhi rossi" domina su "occhi bianchi", gli individui della F1 (tutti RWXX) dovevano avere tutti gli occhi rossi, mentre nella F2 potevano nascere individui WWX, cioè maschi con gli occhi bianchi. In accordo con questa ipotesi, i maschi con gli occhi rossi dovevano avere un genotipo RRX, ma i dati non confermarono le previsioni: incrociando un maschio con gli occhi rossi con una femmina con gli occhi bianchi, si ottennero tutti maschi eterozigoti per R e tutte femmine omozigoti per R.
Il problema era quindi il seguente: come mai nelle popolazioni non comparivano tante femmine con gli occhi bianchi quante ci si aspetta di trovarne? Per risolvere il problema, Morgan introdusse un’ipotesi ulteriore: il fattore R deve essere legato inscindibilmente con il fattore per il sesso, per cui le femmine (che hanno due X) devono essere RRXX, mentre i maschi (che ne hanno una sola) devono essere RWX. La nascita del maschio con gli occhi bianchi doveva essere quindi causata dagli agenti mutageni che avevano modificato, in un uovo, RX in WX, portando ad un individuo WWX.
Per maggiore semplicità nella simbologia, Morgan, ipotizzò che il colore bianco degli occhi fosse provocato dall’assenza del fattore per il colore: WX diventa quindi OX. In conclusione Morgan ammise che R e X dovevano essere combinati e che non potevano esistere indipendentemente l’uno dall’altro. Nonostante questi risultati, Morgan rimaneva piuttosto scettico nei confronti del nesso cromosomi-ereditarietà e continuava parlare di un fattore X piuttosto che di un cromosoma X, in quanto reputava il differenziamento sessuale un fenomeno troppo complesso per essere legato ad una piccola struttura come quella del cromosoma. Ad incrementare le difficoltà c’erano anche le scoperte genetiche condotte da Bateson e Punnett su Abraxas, che dimostravano la presenza dell’eterozigosi nelle femmine e non nei maschi: era esattamente l’opposto di ciò che era emerso dalle ricerche su Drosophila. Nello stesso anno, però, Morgan trovò altre due mutazioni legate al sesso ("corpo giallo" e "ali miniatura"); questo rafforzò l’idea che dovessero esistere dei fattori per questi caratteri sul cromosoma X.
Il passo successivo consisteva nel dimostrare che i tre caratteri legati al sesso si trasmettevano insieme, senza mai separarsi. Tuttavia, nei successivi esperimenti, Morgan si accorse che in alcuni casi avveniva una ricombinazione di questi caratteri e che, quindi, non si poteva parlare di associazione completa. Ormai appassionato e deciso ad arrivare in fondo, Morgan costituì un piccolo gruppo di scienziati, che portò avanti la ricerca con grande passione. Un po’ per volta vennero definite le leggi della genetica classica e si giunse al modello della "collana di perle" secondo cui i geni si dispongono sui cromosomi uno dopo l’altro come le perle sul filo di una collana.

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